Rotting Christ – “Thy Mighty Contract” (1993)

Artist: Rotting Christ
Title: Thy Mighty Contract
Label: Osmose Productions
Year: 1993
Genre: Black Metal
Country: Grecia

Tracklist:
1. “The Sign Of Evil Existence”
2. “Transform All Suffering Into Plagues”
3. “Fgmenth, Thy Gift”
4. “His Sleeping Majesty”
5. “Exiled Archangels”
6. “Dive The Deepest Abyss”
7. “The Coronation Of The Serpent”
8. “The Fourth Knight Of Revelation”

Le forme di comunicazione artistica, specie quelle più spinte, nette e perentorie, non hanno sempre bisogno di ambienti difficili e pericolosi per prendere vita ed uscire allo scoperto, quanto semmai di zone d’ombra circostanti nelle quali possano germogliare, al riparo da comode spiegazioni e mezze verità, dubbi ed insicurezze in grado di penetrare l’inconscio di intere generazioni di giovani, stufi del clima pacificatorio imposto dai patriarchi. Così, alla fine del ‘900, la cupa e periferica Norvegia rispose alle spinte della globalizzazione e del benessere sfrenato giunti in un sol colpo con un genere musicale votato alla difficoltà di ascolto, alla conflittualità aperta e dichiarata con lo status quo e, in un secondo momento, al rigetto della socialdemocrazia contemporanea in favore di un nazionalismo arcaico sì chiuso ed arretrato, ma di contro ben più sentito.
Prima ancora che i frutti di tale rivoluzione possano dirsi del tutto maturati, lo stesso moto uguale e contrario avviene all’altro capo del continente: per la precisione, in una Grecia la quale sta cercando di scrollarsi di dosso la propria difficile storia recente da un lato promuovendosi quale meta turistica da cartolina, e dall’altro riproponendo al mondo esterno il suo incalcolabile patrimonio storico-culturale. Nel bel mezzo di questa improvvisa ondata di ottimismo, culminata un decennio dopo col ritorno delle Olimpiadi ad Atene, accade allora che una cerchia di ragazzi col pallino per il Metal estremo inizi a subodorare sia il futuro in verità tutt’altro che positivo in serbo per la loro nazione, sia uno spettro aggirantesi per l’Europa sotto le sembianze di suoni via via più crudi conditi da tematiche apertamente demoniache. Nell’Ellade che questa decina scarsa di personaggi si immagina non c’è posto per lo scintillare dei raggi solari sul Mar Egeo, né tantomeno per la tradizione filosofica che il popolo ellenico aveva donato alla civiltà occidentale elevandola da contadini imbarbariti a civilizzatori del Mediterraneo; s’intravedono soltanto nebbie esalate da paludi acquitrinose, culti proibiti le cui origini si perdono nei meandri del tempo ed infine un’umanità tenuta in ostaggio da queste divinità tiranniche, prigioniera dell’ignoranza e soggiogata dalla paura.

Il logo della band

A tre decadi tonde dal rilascio del loro immortale debut album, non si può non notare la peculiare analogia tra il percorso di sviluppo dei primi Rotting Christ con quello dei pionieri nordici Mayhem, andante ben oltre l’offerta di un contratto con Deathlike Silence fatta da Euronymous ai fratelli Tolis prima della sua prematura dipartita: vi sono da entrambe le parti dei negozi di dischi alquanto importanti per radunare le truppe (lassù il leggendario Helvete, qui il Molon Lave al cui piano superiore sono pure ubicati gli altrettanto centrali Storm Studios), delle figure carismatiche come quelle dei rispettivi axemen fondatori circondate da comprimari poi passati a ruoli da protagonisti, e soprattutto due EP dal carattere grezzo ed immediato; non rivoluzionari in materia strettamente musicale ma al momento stesso sicure avvisaglie di come di lì in avanti la musica nera avrebbe assunto connotati inediti sotto ogni aspetto. Uscito nella primavera del ’91 con spaventoso anticipo sui tempi, “Passage To Arcturo” arricchisce così l’aria morbosa degli ispiratori “Apocalyptic Raids” e “Medieval Prophecies” giocando col pitch delle spiritate tastiere ed accumulando onnipresenti rimandi ad un pantheon di entità malefiche ben più nutrito rispetto ai ricettacoli di demonologia cristiana prediletti dai suoi coevi. Già alla loro prima prova ufficiale i Rotting Christ sfruttano quindi la posizione di crocevia tra culture rivestita nel corso dei secoli dalla loro patria, pescando dalle discipline astronomiche ed alchemiche così come dallo spiritismo africano e mediorientale, in devota fedeltà all’esempio di H.P. Lovecraft nell’agglomerare sotto molti nomi e provenienze quell’atavico timore dell’uomo verso l’inspiegabilità del creato. Alla stregua di un racconto uscito dalla penna del Solitario di Providence, i pastosi cordofoni prendono alla gola ed anziché recidere di netto la giugulare come da dettame scandinavo stringono, lasciando ogni tanto qualche spazio di respiro salvo in seguito riguadagnare la presa con in aggiunta una scarica dell’assordante drum kit; esportata dalle fredde montagne svizzere, tale formula trova ora spazio e linfa vitale sotto lo schiacciante sole mediterraneo e ne oscura i raggi attraverso una coltre di fumo venefico da cui, nel giro di un biennio, sarà originato il simulacro di un’intera scena.

La band

Anticipato in extremis dall’improvvisa comparsa di “His Majesty At The Swamp”, sempre alla stessa maniera in cui un “De Mysteriis Dom Sathanas” era stato preceduto da una nutrita serie di altre opere di totale rottura, “Thy Mighty Contract” fa però terra bruciata attorno a sé nel candidarsi a non-plus-ultra esteico del contesto ellenico, forte non solo di una formazione che peraltro si era già interamente sentita al lavoro sull’esordio dei commilitoni Varathron, ma di un senso di compattezza all’interno dei vari capitoli ereditato dal filone Heavy Metal classico, sicura influenza non tanto in termini di riferimenti espliciti quanto per la rilevanza concessa al riffing così squadrato all’interno dell’economia sonora di questa nuova scena greca. Traboccante ancora oggi di giovani realtà Heavy, Thrash e persino Power il cui fine ultimo è rimembrare la gloria delle passate decadi, la terra che ha elevato a paradigma culturale ricorrente la dimensione del mito guarda insomma ancora una volta al passato e da esso ritorna con in mano qualcosa di completamente inedito, equidistante sia dalle ispirazioni mitteleuropee sia dalla lanciatissima Scandinavia. Funziona benissimo allora l’intuizione d’inaugurare l’empio rituale coi due minuti contati della bombastica “The Sign Of Evil Existence”, fucilata blackish dal tiratissimo fraseggio costitutivo, salvo poi stravolgere le regole con la preziosa “Transform All Suffering Into Plagues” dove vengono fuori davvero le potenzialità del collettivo: il sound ovattato ormai marchio di fabbrica del produttore Antonios Delaportas, la marziale semplicità di ritmiche sulle quali aleggerà lo spettro di un’ipotetica drum machine, e dulcis in fundo il chitarrismo roccioso del condottiero Sakis Tolis.
Oltre che una raccolta di pezzi vincenti, “Thy Mighty Contract” è infatti una collezione impressionante di riff costruiti alla perfezione, occasionalmente conditi con tremolo ed altri connotati Extreme ma ciononostante carichi di un gusto tutto loro, tenebroso e decadente nel suo grattare sul Mi basso con fare quasi New-Wave, e soprattutto sconfortante qualora si consideri la volontaria disintegrazione di codesto inconfondibile trademark sugli ultimi dischi dei Rotting Christ; gli stacchi assassini della meravigliosa “Exiled Archangels” e l’andatura trascinante di “Dive The Deepest Abyss” non danno affatto l’idea di una band al suo primo full-length, graziati come sono da un’agilità di songwriting encomiabile appaiata all’altrettanto pregiato solismo lungo “His Sleeping Majesty”, terzo vertice di una triangolazione fantastica ove ha sede il vero cuore dell’opus. Confermato una volta per tutte il talento della formazione sul piano esecutivo, sono dunque le battute finali a far emergere la caligine anticipata sì dal rinomato monologo al centro dell’appena citata “Exiled Archangels” ma mai tangibile quanto nei colpi di tastiera, prima ipnotici e reiterati in “The Coronation Of The Serpent” e subito dopo sibillini ed intrecciati alle declamazioni vocali di “The Fourth Knight Of Revelation”, invocanti quella misteriosa Yoth Iria a cui venticinque anni più tardi faranno ritorno Jim Mutilator e Magus Wampyr Daoloth nella speranza di replicare una magia andata irrimediabilmente a perdersi tra le implacabili sabbie del tempo.

C’è ancora da pazientare giusto un mesetto per l’uscita sempre mediante una davvero tentacolare Osmose Productions di “Crossing The Fiery Path” dei cugini Necromantia, ed ecco che un sottogenere ancora in fase di sviluppo chiude la sua terza trinità blasfema di tre (dopo quelle debuttanti in Norvegia e Svezia) ed emigra in una terra che sulla carta proprio nulla sembrava poter offrire in fatto di suoni oscuri; come però è chiaro a tutti gli autentici appassionati, il Black Metal non è mai stato un semplice sound, bensì un feeling – una lente con cui osservare una realtà negativa e traslarla in arte sconsacrata fattasi pugno sul volto di Dio. Pazienza allora se quelle venature Heavy Metal -quando non apertamente Gothic Rock– finiranno con l’andare degli anni per mangiarsi la creatività di Sakis Tolis, timoniere di una nave tenutasi a galla per tutti i Novanta grazie ad esperimenti anche interessanti per poi colare a picco col nuovo millennio, sotto il peso di una ridondante ritualità ormai forzosa e posticcia: l’importanza di “Thy Mighty Contract”, dei Rotting Christ e per estensione della famigerata scena greca, va ad ogni modo oltre rispetto alla pur grandiosa manifestazione fisica di questi otto clamorosi brani e risiede nell’aver trasformato il Black Metal da qualcosa di locale, circoscritto e forse pure un poco risibile ad infernale propagazione di un morbo il quale, da oltre un decennio, attendeva solamente un manipolo di artisti dalla sensibilità giusta per diffondersi.
L’Europa continentale è insomma ormai presa tra i due fuochi, e se persino nella tranquilla Grecia le scintille di questo incendio sono riuscite ad attecchire tanto bene significa che tutto il mondo, presto o tardi, sarà ricoperto dalle tenebre e risuonerà di grida inumane e chitarre distorte.

“I name you under our cult…”

Michele “Ordog” Finelli

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